Lo prevede il decreto Cura Italia: i lavoratori che sono in quarantena per evitare il contagio Coronavirus, hanno diritto alla malattia. E i giorni trascorsi a casa non si calcolano ai fini del superamento del periodo di comporto. Il riferimento è l’articolo 26, comma 1, del decreto 18/2020.
Riguarda il periodo trascorso in isolamento con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria dei lavoratori dipendenti. Innanzitutto, le relative definizioni di legge:
- quarantena con sorveglianza attiva: persone che hanno avuto contatti stretti con casi confermati di malattia infettiva diffusiva (articolo 1, comma 2, lettera h, dl 6/2020).
- permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva: persone che hanno fatto ingresso in Italia da zone a rischio (lettera i, dello stesso articolo).
La seconda definizione resta valida e si applica anche declinata in base a specifiche ordinanze locali legate al rischio di contagio da Coronavirus.
In ogni caso, è il Dipartimento di prevenzione della Asl a disporre il provvedimento di quarantena o sorveglianza in base alle indicazioni che possono arrivare dalla persona stessa, dall’azienda o dai medici di base.
Questi ultimi redigono il certificato, specificando gli estremi del provvedimento che ha dato origine alla quarantena con sorveglianza attiva o alla permanenza domiciliare. Il provvedimento può venire emesso dall’autorità sanitaria in relazione a una delle notizie sopra riportate. Sono considerati validi i certificati di malattia trasmessi, prima dell’entrata in vigore del decreto Cura Italia (quindi, prima del 17 marzo), anche in assenza dell’indicazione del provvedimento in base al quale si dispone la quarantena.
La quarantena equivale a un periodo di malattia. Ed è quindi retribuita di conseguenza. E non vale ai fini del periodo di comporto (il numero massimo di giorni in cui un lavoratore può stare a casa per malattia mantenendo il diritto al posto di lavoro).