E’ previsto dal 1° gennaio 2018 il divieto di commercializzazione dei sacchetti ultraleggeri, non biodegradabili e compostabili e con un contenuto minimo di materia prima rinnovabile inferiore al 40%, per la raccolta e la pesa di prodotti alimentari sfusi al consumatore.
In assenza di altri riferimenti di legge specifici e in ragione della finalità della norma, cioè ridurre l’uso delle borse di plastica, l’obbligo appare esteso a tutte le categorie di commercianti, a partire dalla grande distribuzione (supermercati e discount) fino al piccolo commerciante, ivi compreso l’ambulante, oltre che lo stesso produttore che rivende al dettaglio.
L’art. 226-ter, comma 1 del DLgs. 152/2006 si riferisce alla commercializzazione delle borse di plastica in materiale “ultraleggero”, che, alla luce delle definizioni fornite dall’art. 218, comma 1 del DLgs. 152/2006, sono quelle rilasciate ai consumatori per il trasporto di merci o prodotti (lett. dd-ter), con uno spessore della singola parete inferiore a 15 micron e richieste a fini di igiene o fornite come imballaggio primario per alimenti sfusi (lett. dd-quinquies).
L’addebito, dunque, del costo del sacchetto riguarda solo, ai sensi dell’art. 226-ter citato, borse di plastica rilasciate a fini di igiene per alimenti sfusi acquistati dal “consumatore”.
Per i sacchetti ammessi è vietata la distribuzione a titolo gratuito, con l’obbligo di indicazione del relativo prezzo, per singola unità, sullo scontrino o fattura d’acquisto, in ragione dell’aliquota IVA del prodotto venduto.
Si ricorda, infine, che gli importi di tali imballaggi vanno indicati, nel registro dei corrispettivi, in una colonna separata.